Quando l’arbitro avrà modo di fischiare il calcio d’inizio di Torino-Parma, saranno passati 102 giorni dall’ultima partita di campionato, come da conto alla rovescia del nostro account Twitter. L’esultanza di Caputo dopo il gol segnato al Brescia aveva provato a rassicurare tutti: “State a casa, andrà tutto bene”.

Proprio tutto bene, non è andato, ma il messaggio di speranza dell’attaccante del Sassuolo è impresso nella nostra mente come ultima immagine positiva: quasi quindici settimane senza calcio, un periodo lungo, ma non il più lungo in assoluto. Anzi, a guardar bene i numeri (dal secondo dopoguerra a oggi) l’astinenza estiva - tra un campionato e l’altro - è stata ben più lunga.

La seconda Guerra Mondiale aveva diviso in due il Paese, la linea gotica aveva impedito per un paio di anni il normale sviluppo dei campionati; l’ultima partita della stagione 1942-43 si giocò il 25 aprile, quando si tornò a giocare dopo lo sbarco degli Alleati e la fine delle ostilità, erano passati 902 giorni.

Lo scudetto del '46!

La data di rinascita fu il 15 ottobre 1945, l’Italia era ancora divisa, interrotti i collegamenti tra Nord e Sud, al punto da costringere la Federazione a proporre - unica volta nella storia dal 1929 in poi - un format con due gironi: Alta Italia e Centro-Sud. Il raggruppamento al di sotto della Linea Gotica, era composto da squadre di Serie A e squadre di Serie B, in un girone misto.

La prima giornata di quel campionato propose il derby della Mole vinto dalla Juventus. Il torneo si concluse in piena estate, con l’ultima giornata programmata il 28 luglio 1946; la formula del torneo prevedeva un secondo e successivo girone, composto otto squadre (le prime quattro dell’Alta Italia e le prime quattro provenienti dal Centro-Sud) che furono protagoniste di un altro mini campionato che si risolse nel rush finale.

Le squadre sono appaiate, ma alla terzultima la Juventus vince, il Torino perde: il distacco di due punti viene colmato la giornata successiva quando i granata vincono il derby si misura grazie a un gol di Gabetto.

Il pareggio esterno della Juve nell’ultima giornata regala il trionfo al Grande Torino che - vincendo largamente contro il Livorno - conquista il terzo scudetto granata.

La lunga astinenza da calcio - tra una stagione e l’altra - è stata solitamente scandita dalle manifestazioni internazionali, Mondiali ed Europei di calcio - oppure - le Olimpiadi; nell’estate del 1962, nel pieno boom economico del Paese, fu necessario attendere 153 giorni, ovvero 22 settimane. Una privazione calcistica così lunga arriverà anche nell’estate del 1970; Messico e nuvole, Riva e la partita del secolo, Rivera che manda a casa i tedeschi, Pelè che resta appeso in cielo e infila Albertosi nella finale dell’Azteca.

 

Quando si riprende, il Cagliari ha lo scudetto sul petto, ma anche qui - tra la fine della stagione precedente e l’inizio del nuovo campionato passano 153 giorni. E’ una distanza temporale significativa, ma anche dovuta al formato del campionato di Serie A che prevede soltanto 16 squadre.

Negli anni ’70, i tempi di attesa si allungano, il torneo parte a ottobre; la stagione 1973-74 si chiude il 19 maggio: la Lazio ha vinto lo scudetto sette giorni prima, ma per vedere il tricolore sulla propria maglia dovrà attendere fino al 6 ottobre 1974: sono trascorsi 139 giorni dall’ultima giornata del campionato precedente. Le venti settimane di sosta si ripetono anche nelle due stagioni successive, poi la partenza del torneo viene anticipata al mese di settembre, e l’astinenza torna ad assottigliarsi.

Per trovare un periodo di rinuncia così esteso, bisognerà arrivare al 1986: durante l’estate ci si riempie gli occhi con le magie di Maradona che porta a spasso mezza Nazionale inglese, elimina il Belgio e punisce la Germania nella finale di Città del Messico. Il campionato si era concluso in maniera rocambolesca il 27 aprile 1986 e quando si riparte - il 14 settembre 1986 - sono passati 139 giorni: Maradona è l’Imperatore del Mondo, e si appresta a diventare anche Re di Napoli.

Van Basten ed i soli 62 giorni

I margini temporali tornano a dilatarsi due anni dopo, nel 1988 quando ci sono in programma gli Europei e le Olimpiadi di Seul; l’estate ci regala il diamante di Van Basten che annichilisce Dasaev: l’URSS del colonnello Lobanovski cede di fronte alla corazzata olandese, dopo aver eliminato la giovane Italia di Azeglio Vicini.

Dall’altra parte del mondo, Ben Johnson vince una medaglia carica di steroidi sui 100 metri piani; verrà squalificato per doping, l’oro olimpico di Seul finirà nelle mani di Carl Lewis, il figlio del vento.

Il calcio italiano resta fermo per 146 giorni, l’Inter domina il campionato, la stagione seguente presenta una novità significativa: cambia il format della Serie A, si passa a un torneo con 18 squadre. In termini algebrici, sono 4 giornate in più, in termini temporali si guadagna un mese di calcio: diventa necessaria l’introduzione dei turni infrasettimanali di campionato, un tempo riservati unicamente alla Coppa Italia, e alle Coppe Europee.

Per questo motivo, l’estate del 1989 segna il periodo più breve di sospensione tra una stagione e l’altra: per vedere il calcio d’inizio del campionato 1989-90 se devono attendere soltanto 62 giorni anche perché a fine stagione - proprio in Italia - ci sono i Mondiali.

Anche negli ultimi trent’anni, i Mondiali, gli Europei e le Olimpiadi hanno scandito il tempo di gioco; il Mondiale del 1994 oscura il campionato per 125 giorni, quello francese del 1998 lo blocca per 119 giorni. Ma anche le Olimpiadi fanno la loro parte: quelle di Sydney - nell’estate 2000 regalano 138 giorni di attesa prima della ripresa delle ostilità. Oltre quattro mesi, un’enormità.

Ma dal 2004-05, la distanza tra una stagione e quella seguente si affievolisce perché la riforma dei campionati aggiunge altre due squadre al campionato portando la massima divisione da 18 a 20 squadre ed allargando a dieci il numero di partite in palinsesto per le scommesse Serie A settimanali. La concomitanza con le manifestazioni sportive internazionali continua abitualmente ad allungare l’attesa, ma non si va mai oltre le 15 settimane.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Kienzle (AP Photo).

Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.