Un salto indietro di oltre 20 anni, coi mezzi di comunicazione che oggi, azzerano tutte le barriere, comprese quelle del tempo, non è opera così complicata: siamo nel campionato di calcio italiano di Serie B, stagione ’94/’95 ed una delle realtà calcistiche con maggiore tradizione del Sud, il Cosenza, deve riuscire a mantenere la cadetteria partendo con una penalizzazione di 9 punti. Per farlo, sceglie l’unica via che gli è possibile in quella delicatissima situazione: un calcio fatto di idee, innovazione e talenti pressoché sconosciuti al grande pubblico, da valorizzare.

 

L’impresa, perché di tale si tratta, riesce ed, a renderla possibile, è un romagnolo che da poco ha superato la soglia dei quarant’anni, ma che già ha avuto modo di far parlare di sé fra gli addetti ai lavori, per una doppia promozione dalla D alla C1 alla guida del Baracca Lugo e per un’altra dalla C alla B col Venezia. Il suo nome è Alberto Zaccheroni, non ha un gran passato da calciatore, anzi non c’è l’ha per niente, ed il suo calcio ricalca fedelmente i concetti sacchiani, dalla zona all’integralismo per il 4-4-2.

LA SERIE A AD UDINE!

L’exploit in terra calabrese non passa inosservato e viene cavalcato dalla famiglia Pozzo, molti chilometri più a nord, in Friuli, che decide di affidare al mister, la conduzione dell’Udinese, nella massima serie. A maggio del ’96, praticamente un anno dopo la chiamata, i bianconeri di Zaccheroni, otterranno una salvezza tranquilla, giocando un calcio ordinato ed equilibrato, sempre di matrice sacchiana. La seconda stagione in Friuli, quella 1996-‘97 però, non inizia in maniera positiva e la squadra, fino alla primavera pecca di costanza, è altalenante nelle prestazioni e quindi, anche nei risultati.

Ad aprile l’Udinese è di scena sul campo della Juventus di Vieri e Zidane. Passano solo tre minuti e Genaux, terzino francese, ingenuamente, si fa espellere per proteste: logica vorrebbe che, fedele al 4-4-2, il tecnico romagnolo, inserisse un difensore, in luogo di uno dei due attaccanti, Amoroso o Bierhoff. Zaccheroni però, rompe il protocollo; richiama in panchina il centrocampista esterno Locatelli, lanciando nella mischia il ghanese Gargo, calciatore eclettico e polivalente che nella circostanza, si affianca in difesa a Pierini e Calori. La linea di centrocampo a 4 e soprattutto, le due punte, quindi, vengono mantenute.

Il calcio si sa, da sempre, ci racconta storie meravigliose nonché imprevedibili e questa, non fa eccezione: al “Delle Alpi”, al triplice fischio, il tabellino dice Juventus 0 Udinese 3. Dal turno successivo di campionato, i friulani, metteranno insieme sei vittorie e due pareggi nelle ultime otto gare, centrando il quinto posto che vale il piazzamento UEFA.

Tutto ciò, avviene dando seguito alla rivoluzione tattica generatosi a Torino: via il 4-4-2 e spazio al 3-4-3 che sarà anche per l’anno seguente il nuovo, inconfutabile marchio dell’Udinese di Alberto Zaccheroni, in un’epoca, quella della seconda metà degli anni ’90, in cui il sistema di gioco, più che i principi ed in concetti che lo caratterizzavano, era il vero parametro che definiva la filosofia calcistica di un allenatore e quindi della propria squadra.

Le idee tattiche legate alla difesa a 3 erano invece sostanzialmente due: quella “italiana” del Parma di Nevio Scala, con un 3-5-2 che in fase di non possesso diventava sistematicamente un 5-3-2 e, in ambito europeo la corrente catalano-olandese, da Cruyff all’Ajax di Van Gaal, che col i tre difensori, il centrocampo a 4 a rombo ed i tre attaccanti, ricercava un calcio più di dominio, di palleggio e soprattutto dinamico e non posizionale. In mezzo a queste due espressioni, si inserì appunto Zaccheroni, prendendo spunto da entrambe, ma creando un modello proprio.

LE INTUIZIONI TATTICHE

Anzitutto, Nel 3-4-3 dell’Udinese, la linea mediana era in linea e raramente i due “quarti” di centrocampo, Helveg e Sergio, poi Bachini, si abbassavano contemporaneamente sulla linea dei tre difensori per costituirne una a cinque: piuttosto, l’esterno di centrocampo lato palla, si alzava molto in alto a pressare il terzino avversario in possesso ed il compagno dalla parte opposta rimaneva più legato al terzetto difensivo, prestando attenzione al lato più lontano dalla palla.

La costruzione della manovra, inoltre, era molto diretta e verticale: spessissimo si assisteva a sequenze di gioco in cui la palla, attraverso dei passaggi verticali rischiosi ma precisi, arrivava per l’appunto dai difensori, direttamente fra i piedi degli esterni di attacco.

In queste posizione, si alternavano calciatori estremamente talentuosi come il già citato brasiliano Marcio Amoroso, il danese Jorgensen ed i nostrani Poggi e Locatelli che giocando a piede contrario e, venendo naturalmente ad agire all’interno del campo, immediatamente cercavano la rifinitura per l’attacco alla profondità del centravanti tedesco Bierhoff, un meccanismo di combinazioni ed opzioni per attaccare la linea difensiva avversaria e lo spazio alle sue spalle che oggi, possiamo vedere realizzato in maniera ancora più evoluta e raffinata, nell’Atalanta di Giampiero Gasperini

In un’idea offensiva orientata a trovare la porta avversaria nel più breve tempo possibile, assumevano pertanto un’importanza fondamentale per tenere corta e connessa la squadra, i due centrocampisti centrali, Rossitto e Giannichedda, poi Walem, sempre attenti a mantenere le proprie posizioni; il terzetto Bertotto-Calori-Pierini, alzava palla per andare a cercare in avanti,il petto o la testa del tedesco Bierhoff.

I due mediani infatti, nel 3-4-3 verticale di Zaccheroni erano sempre pronti a raccogliere sponde e palle sporche prodotte dai duelli del loro centravanti e soprattutto, erano costantemente proiettati a mordere le caviglie dei centrocampisti avversari che cercavano di riconquistare palle vaganti nella propria trequarti, evidenziando quindi, un concetto di riconquista palla immediata che oggi è caldeggiato e allenato nei dettagli, dai tecnici top di tutta Europa.

L’Udinese 3.0 del 1997/1998 di Alberto Zaccheroni, centrò il miglior piazzamento in Serie A nella storia del club friulano, un terzo posto che però, in quel momento storico del calcio, non valeva più di un nuovo piazzamento in Coppa UEFA.

Zac a Milanello!

Fu il passaporto, invece, per il tecnico per diventare il tecnico del Milan: evolvendo, nel corso della primavera ’99, il suo 3-4-3 in un più imprevedibile 3-4-1-2, Zac valorizza al massimo il talento di un artista del calcio come “Zorro” Boban e tocca il punto più alto della sua carriera, diventando Campione d’Italia.

*Il testo dell'articolo è stato curato da Luigi Miccio: le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione, di Luca Bruno e Diego Petrussi.
 

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