Il confronto tra “giochisti” e “risultatisti” continua. Dopo il primo articolo e l'analisi della competizione a tutto campo tra Trap ed Arrigo Sacchi, esaminiamo un'altra sfida clamorosa, successiva solo di qualche anno, tra due maestri che vedono il gioco più bello del mondo in modo davvero diverso!

 

Il Milan è a fine ciclo, i metodi di Sacchi hanno logorato la rosa, si dice che i senatori chiedano un cambio di allenatore a Berlusconi e Galliani. Il Cavaliere aveva voluto Arrigo, l’aveva difeso, ma si convince che forse sia arrivato il momento di una sterzata. Fabio Capello è un ex grande giocatore, lavora in Publitalia e l’intuizione è sempre di Berlusconi. Lo chiama e gli affida il Milan. Capello da subito fa capire al gruppo che disciplina e dedizione alla causa sono ingredienti principali per un professionista. Insomma niente notti brave, in allenamento bisogna andare al 100% perché poi in partita si replica quanto fatto durante la settimana.

I 4+1 difensori più forti del calcio moderno - È un insegnamento che Capello ha ricevuto alla Roma, quando era un giocatore di Herrera, un precetto che non abbandonerà mai più. Il Milan di Capello è una squadra solida, tosta, che concede poco o nulla agli avversari. La difesa è il punto di forza di un Milan che per quattro stagione, tra il 1992 e 1996, avrà la miglior retroguardia del campionato: in annate senza bookmakers per le scommesse, le giocate consigliate sarebbero state semplicemente la vittoria del Milan, senza subire reti.

Capello imposta la squadra diversamente da Sacchi, la pressione ossessiva che voleva il tecnico romagnolo viene abbandonata, la squadra deve affidarsi alle prerogative dei propri giocatori e quel Milan è prima di tutto un team formato da eccellenti difensori, forse unici, come Costacurta, Maldini, Baresi e Tassotti.

Il pragmatismo dell’allenatore friulano è noto, si gioca per esaltare le qualità dei giocatori a disposizione e non per piegarli alle idee di chi sta in panchina. Capello è un sergente di ferro, ma anche un uomo pratico: “Non credo che si possa giocare con un solo schema. Dipende dai giocatori a disposizione. Bisogna trovare la formazione che fa rendere al meglio i tuoi giocatori. Un allenatore deve capire il potenziale della propria squadra”, disse in un’intervista al sito dell’UEFA. Capello gioca con il 4-4-2 o con il 4-5-1 e adatta Desailly, centrale difensivo, a schermo davanti alla difesa, in modo da dare protezione ulteriore alla retroguardia e avere comunque un giocatore qualitativo per uscire da dietro.

Capello è probabilmente il re dei “risultatisti” e con la sua filosofia riuscì a vincere anche una storica Coppa dei Campioni, nel 1994, ad Atene. Un successo clamoroso nelle proporzioni (4-0), contro un avversario stratosferico come il Barcellona di Romario, Guardiola e Stoichkov e anche perché ottenuto contro forse il suo opposto. Se Capello è lo Zenit, dall’altra parte c’è il Nadir Johan Cruijff. Uno “risultatista” puro, l’altro figlio prediletto, erede naturale dell’Arancia Meccanica di Michels, dell’Ajax che aveva incantato il mondo.

Si vince solo sul campo, non a parole - Cruijff, prima della partita, si lascia andare a dichiarazioni arroganti: “I tifosi del Milan si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra”, frecciata diretta proprio a Capello. Ma non solo, l’olandese non ha dubbi: “Non vedo come potremmo perderla questa coppa”. Si narra che Johan abbia già fatto le foto col trofeo, che abbia organizzato la festa. Il Milan, dal canto suo, arriva a quella finale in difficoltà, mancheranno Baresi e Costacurta, al loro posto ci sono Galli e il 21enne Panucci.

Capello, quando gli chiedono delle assenze, di Cruijff che parla di “Milan malandato” dice: “Per me è un bene, abbiamo un vantaggio psicologico”. Il Milan stravince quella finale tatticamente e mentalmente. In effetti. I rossoneri sono più cattivi, feroci, vincono i duelli, corrono di più e meglio. Ma soprattutto sanno leggere i momenti della partita, fanno pressione nei primi minuti, dominano il gioco, lasciando incredulo Cruijff e una volta in vantaggio si ritraggono, stanano il Barça e lo colpiscono in contropiede.

A fine partita, contro ogni pronostico delle scommesse è 4-0, Cruijff è incredulo, quasi non realizza ciò che è appena successo, come se a perdere sia stato il calcio e non il Barcellona. Ma forse il calcio non è uno. Non conosce un’unica via. E le idee sono sempre idee, anche quando non piacciono, anche quando sembrano “solo” gestione di risorse. Poco spettacolare forse questa via, poco entusiasmante, poco cool. Ma pur sempre una via.

*La foto di apertura dell'articolo è di Carlo Fumagalli (AP Photo).

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